Mi è capitato più volte di spiegare a quelli che chiamo “cristiani delusi” (cioè quelle persone deluse dal cristianesimo come religione organizzata ma convinte della bontà degli insegnamenti evangelici) che, in realtà, dovrebbero considerarsi neoplatonici, perché quella che gli hanno venduto come “nuova religione rivelata” non è altro che un adattamento degli insegnamenti socratici e platonici.
Domanda: qual era la religione di Platone?
Risposta: l’epica omerica letta attraverso gli insegnamenti di Socrate.
Con un paragone orrendo ma rapido ed efficace, possiamo dire che Omero costituiva l’antico testamento, mentre gli insegnamenti socratici il nuovo testamento.
L’epica omerica veniva considerata un testo sacro, morale ed etico, un riferimento per ogni situazione dell’esistenza umana, addirittura, scritto in una lingua tutta sua (che già da un secolo sappiamo essere di derivazione nordica e non mediterranea). Proprio come nella bibbia, in Omero c’è una lingua speciale, un codice normativo, un codice comportamentale e precisissimi rituali.
Se durante il rito sciamanico Mosè non deve guardare, non deve muoversi e deve togliersi i sandali, Ulisse non deve guardare, deve restare fermo in una buca e deve sgozzare un capretto. Non bisogna avere fretta di lasciarsi ingannare dalle apparenze, le corrispondenze non sono due come potrebbe sembrare, ma tutt’e tre: Mosè è un nomade, quindi, per lui i sandali sono la cosa più banale del mondo, mentre Ulisse è un re pastore e per lui sgozzare un capretto è la cosa più banale del mondo!
Per non parlare delle preghiere, infatti, la struttura della prima parte del famoso “padre nostro” è la medesima di quella dell’invocazione ad Apollo:
padre nostro padre nostro che sei nei cieli ☛ invocazione e localizzazione
sia santificato il tuo nome ☛ valorizzazione del nome
venga il tuo regno ☛ indicazione di potere temporale
sia fatta la tua volontà ☛ indicazione di potere volitivo
come in cielo così in terra ☛ seconda localizzazione
invocazione ad Apollo Ascoltami, arco d’argento, che Crisa proteggi e Cilla divina ☛ invocazione e localizzazione (Crisa e Cilla)
e regni sovrano su Tenedo ☛ indicazione di potere temporale e seconda localizzazione
Sminteo ☛ epiteto esornativo esclusivo di Apollo (se il nome del padre dev’essere santificato, nessun altro può essere chiamato in questo modo)
se mai qualche volta un tempio gradito t’ho eretto ☛ indicazione di potere temporale
e se mai t’ho bruciato cosce pingui ☛ captatio benevolentiae, mancante nel “padre nostro” ma, del resto, Gesù diceva di volere eliminare le formalità...
compimi questo voto ☛ indicazione di potere volitivo
Questa invocazione, tratta dal primo canto dell’Iliade, si conclude con una richiesta apparentemente diversa da quanto chiesto nel “padre nostro”:
paghino i Danai le lacrime mie coi tuoi dardi ☛ indicazione di potere sovrannaturale.
Vediamo il resto del “padre nostro”.
Il verso “dacci oggi il nostro pane quotidiano” presenta una parola che non compare altrove: “epiùsion” [ἐπιούσιον], composta dal prefisso “epi” che significa “sopra” e dalla parola “usìa" che significa “sostanza” (parafrasando Aristotele, l’elemento che rende una cosa proprio quella che è e non un’altra).
Non a caso, la traduzione latina di “epiùsion” è “supersubstantialem”.
Come sono arrivati a “quotidiano”? Non ne ho la più pallida idea. Quale traduzione potrebbe suonare meglio di “sovra-sostanziale”? Soprannaturale, per esempio: proprio come i dardi di Apollo, il pane divino è soprannaturale.
L’invocazione ad Apollo si conclude con l’invocazione soprannaturale, mentre invece il “padre nostro” continua, con un’ulteriore serie di richieste.
E come sono queste richieste? Tradizionalmente leggiamo:
e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori
e non ci indurre in tentazione
ma liberaci dal male Traduciamo senza interpretare, né a livello filosofico né a livello spirituale.
Il verbo tradotto con “rimetti” è “afes" [ἄφες] che significa “rinuncia” e “cancella”.
La parola tradotta con “debiti” è “ofeilémata” [ὀφειλήματα] che significa proprio “ciò che è dovuto” indicando quindi un debito materiale, di natura finanziaria o giuridica, senza alcun tipo di connotazione morale. Il verbo tradotto con “indurre” è “eisenénkes” [εἰσενέγκῃς] che significa “mettere”, “portare” o “condurre”, quindi, è privo di qualsiasi connotazione metaforica e indica un movimento reale, concreto. La parola tradotto con “tentazione” è “peirasmòn” [πειρασμόν] che significa “prova” e addirittura “processo”. Il verbo tradotto con “liberaci” è “rùsai" [ῥῦσαι] che significa “portare in salvo”, “soccorrere”, di nuovo in maniera molto concreta e tangibile. La parola tradotta con “male” è “ponerù” [πονηροῦ] che significa “fatica”, “dolore” e “oppressione”. La parola NON tradotta è “apò” [ἀπὸ] che significa “lontano”.
Quindi, una traduzione senza preconcetti della seconda parte del “padre nostro” potrebbe essere:
cancella i nostri debiti
come noi rinunciamo alle nostre obbligazioni
non metterci alla prova [o, addirittura, non portarci in tribunale, non metterci sotto processo]
ma portaci in salvo lontano dall’oppressione Se la prima parte del “padre nostro” doveva rispettare i canoni delle invocazioni note all’epoca per poter acquisire credibilità, la seconda parte è assolutamente lontana da un ragionamento di tipo filosofico, etico e spirituale e si inserisce perfettamente nel contesto legislativo, mercantilistico e nomade tipico di tutta la bibbia.
mattia:lualdi